Avvocato Biolè

 INTERVENTO AVVOCATO BIOLE’


In memoria della sua famiglia, l'avvocato Biolè ha deciso di tenere un importante discorso per ricordare l'eroismo e la forza dei suoi parenti, che hanno disgraziatamente subito le conseguenze della persecuzione degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. 

 L'avvocato non ha vissuto quest'ultima, ma si è impegnato nel ripercorrere le tracce che la sua famiglia ci ha lasciato, permettendoci oggi di ricordare con onore e rispetto Bruno De Benedetti, deceduto a 33 anni nel campo di sterminio di Dachau.

Nel 1942 la famiglia di Biolè, composta da circa sette persone, trovò riparo in un rifugio a Porta Soprana a causa di un bombardamento aereo su Genova; successivamente si trasferì in una villa a Sestri Levante. 

Quando furono promulgate le leggi razziali, i nazisti tesero una trappola a tutti gli ebrei genovesi convocandoli alla Sinagoga di Genova; fortunatamente alcuni capirono che una volta entrati li avrebbero arrestati, molti fecero così ritorno alle abitazioni per poi prendere un treno alla stazione di Brignole.

Quel giorno un membro della famiglia di Biolè, mentre passava vicino alla stazione per andare alla sinagoga, incontrò un amico di famiglia che era già stato avvertito di ciò che stava realmente accadendo.

Egli tornò di corsa a casa per avvertire la famiglia e, dopo aver preso quel poco che serviva, corsero tutti alla stazione dove avrebbero preso un treno per il Levante.

Purtroppo quel giorno molte altre persone, come loro, dovevano prendere il treno; era probabile che non li avrebbe caricati tutti, ma per fortuna riuscirono comunque a salire. 

Poco prima della partenza suonarono le sirene antiaeree, loro avrebbero dovuto scendere dal treno e recarsi nel rifugio antiaereo più vicino, ma non lo fecero poiché fortunatamente il capostazione decise di farlo partire ugualmente, con l’obbiettivo di raggiungere la galleria più vicina; dopo poco la stazione venne rasa al suolo dai bombardamenti.

Bruno De Benedetti (lo zio di Biolè) in quel periodo si innamorò di una ragazza “ariana”, che sposò successivamente nel 1941, convertendosi alla religione cattolica.

Nel frattempo i membri della famiglia, mentre erano seduti a tavola per la cena, vennero a sapere attraverso la radio della liberazione di Sardegna e Sicilia da parte degli americani.

I bambini si misero a saltare sul tavolo dalla gioia, il padre invece sapeva perfettamente che quella non era la fine ma soltanto l'inizio, la parte peggiore della guerra.  Infatti, neanche un paio di giorni dopo, il sindaco, che era loro amico, venne a bussare alla loro porta  dicendo che i fascisti avevano capito che fossero ebrei e che se ne sarebbero dovuti andare.

Così il nonno, di tutta fretta, prese solo l'indispensabile e si recò insieme alla famiglia a Santa Margherita, dove alcuni amici li avrebbero ospitati, offrendo loro documenti falsi per non essere riconosciuti come ebrei.

Il 30 settembre, però, le autorità controllarono i loro documenti e notarono la presenza di un marchio sull’angolo della carta: quel segno era utilizzato per riconoscere un documento falso, vennero quindi traditi.

(Biolè racconta questa data come la più importante per lui e la sua famiglia).

La famiglia fu costretta a partire nuovamente ma questa volta dividendosi, sarebbero andati a Milano, fu molto difficile contattarsi fra parenti fino a quando il padre incontrò un suo amico e sua moglie, seduti in un angolo della stazione .

Gli spiegarono che avevano trovato due ventenni che, a un costo enorme, li avrebbero accompagnati al confine fra Italia e Svizzera dove molti ebrei scappavano per evitare le squadracce fasciste.

I due vedendo tutte quelle persone gli dissero che oltre a farsi pagare avrebbero dovuto  abbandonare i bagagli e procurarsi dei passaporti  veri dove dicevano di essere ebrei, cosa molto pericolosa perché il notaio li avrebbe puntuti  denunciare, ma non avendo altra scelta entrarono in una locanda per cambiarsi e indossare tutto il possibile .

Sul punto di uscire, si accorsero che due camicie nere si erano sedute a un tavolo nella locanda, loro uscirono di corsa e andarono dal notaio che, facendosi ovviamente a pagare, decise di non denunciarli (cosa molto strana perché a quei tempi portare o denunciare un ebreo avrebbe fruttato all'incirca  3000 o 4000 lire).

Il giorno dopo i due uomini andarono a prendere la famiglia con una macchina, ma Bruno non si volle fidare, e rimase a Milano, dove venne arrestato e successivamente deportato; tutti gli altri quella sera erano arrivarono sani e salvi al confine con la Svizzera.

Pochi giorni dopo si recarono in comune per richiedere il diritto di asilo, che gli era stato negato, ma in preda al panico e allo sconforto il padre dei ragazzi minacciò il sindaco, che successivamente gli permise di rimanere lì.

Finita la guerra tornarono tutti a Genova, tranne Bruno De Benedetti, che morì a Kaufering, il 31 dicembre del 1944.

Dopo la morte di Bruno, la famiglia Biolè decise di onorarlo come simbolo dell'eroismo degli ebrei durante la guerra, ricordandolo con orgoglio e riconoscenza. L'avvocato Biolè ha trascorso la sua vita a ricordare la storia della sua famiglia e della tragedia della Seconda Guerra Mondiale, raccontando  con passione la storia di Bruno come esempio di coraggio e forza. Oggi, grazie al suo impegno, possiamo ricordare con rispetto la vita di Bruno De Benedetti e, in conseguenza, la storia di tutti coloro che hanno perso la vita a causa della terribile Shoah.

Giorgia 3C Christian 3D Massimo 3C








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