Famiglia di Biolè

 


Relazione

  • La famiglia Biolè ai tempi della Shoah

breve frase







Christian

3°D



Filippo Biolè, avvocato di fede ebraica, ha fatto visita all'Istituto Comprensivo di Molassana e Prato in occasione della Giornata della Memoria : il 27 gennaio.

È proprio in ricordo di questa data che l'avvocato racconta la vita dei suoi zii, figli della sua coraggiosa e forte nonna, Bice Foa, vissuti durante il periodo della terribile Shoah, in concomitanza con l'inizio della Seconda Guerra Mondiale.

Di loro ne racconterà l’esperienza, il coraggio e la forza, tramandando a tutti noi una necessaria riflessione : l’importanza della Memoria.


Attraverso un’immagine, egli ha dato vita ad un discorso toccante e commovente: era una fotografia che ritraeva la famiglia: Bianca, Franca, Aldo, Bruno e Gino.

Iniziò quindi a raccontare la loro vita: vivevano in un’affascinante villa, in una comune via genovese. La sua bellezza fu però distrutta: nel 1942 iniziarono da parte delle forze americane i bombardamenti nelle città italiane del Nord, con attenzione verso Genova, città portuale e di rilevante importanza. Gli urli delle sirene antiaeree andarono di pari passo a quelle di Bice: la casa, infatti, fu parzialmente distrutta e i figli furono quindi obbligati ad abbandonare la via e a trasferirsi, in cerca di riparo, verso Levante.

La fuga fu però complicata: i bombardamenti colpirono la Stazione di Brignole, la stessa che ospitava il treno in partenza. Nonostante questo, il capotreno decise ugualmente di partire, salvando, tra l’altro, la vita di Bice e dei figli.

Arrivati a destinazione furono accolti in una villa a Santa Margherita Ligure.

Da allora ebbe inizio un periodo che Biolè definisce di "finta tranquillità: era il 1943 e il capo del fascismo Mussolini fu arrestato.

I fratelli ebbero quindi la vana speranza  della caduta del fascismo e delle conseguenti Leggi razziali. Fu Bruno l’unico a non cedere all’ottimismo, era infatti convinto fosse solo l’inizio della fine, infatti il 9 settembre 1943, mentre gli Anglosassoni occupavano il Sud-Italia, i Nazisti entrarono a  Nord, e, come accordato precedentemente con Mussolini, iniziarono a rastrellare tutti gli Ebrei.

Di questo terribile anno l’avvocato Biolè  ricorda  tradimento della Sinagoga di Genova: le forze Naziste minacciarono il custode della Sinagoga, costringendolo ad attuare una finta cerimonia per raggruppare il maggior numero di Ebrei, i quali sarebbero stati poi deportati nei campi di sterminio.

In questa drammatica storia accadde però un qualcosa di straordinario:  una donna mise in pericolo la sua vita affacciandosi alla finestra di un palazzo dipinto di rosso posto proprio accanto alla sinagoga e iniziando a fare  loro dei gesti di avvertimento, dei segnali, permettendo alla maggior parte degli Ebrei genovesi di fuggire. Da questo importante avvenimento il signor Biolè ha fatto riflettere su come non tutti condividessero gli ideali del Duce: esistevano persone coraggiose che si differenziavano, persone che non volevano sottomettersi, persone che mettevano a rischio la propria vita per salvarne altre. Non erano semplici persone, erano veri e propri Eroi.    

L’avvocato però ricorda anche un’altra data, la stessa che mise l’inizio allo sterminio: il 30 novembre 1943, quando venne emanata un’ordinanza che prevedeva l'incarcerazione degli ebrei nei campi di sterminio.

La famiglia capì quindi che restare a Genova non era ormai più sicuro:  decise di fuggire, questa volta però, varcando i confini italiani e rifugiandosi in Svizzera, il paese neutrale.

Per attuare il loro piano di fuga, si recarono a Milano presso i passeur, giovani ragazzi che, pagati con ingenti somme di denaro, organizzavano il trasporto clandestino oltre il confine svizzero.

Tutto era pronto: la macchina con i giovani a piazza Duomo, all’epoca occupata dalle forze naziste, partì insieme ai fratelli verso la Svizzera


Bruno però fu l’unico a non lasciare Milano in quanto diffidava di quei giovani.

Arrivati al confine i passeur aprirono un varco nella rete di filo spinato, facendo passare uno ad uno i fratelli.

In Svizzera potevano finalmente restare in una sorta di tranquillità, svolgendo però lavori sottopagati presso le case dei ricchi, i quali trattavano loro senza alcun ritegno.

L’avvocato presentò poi una commovente documentazione, la pagina di un noto giornale che dava notizia della libertà di Genova dai Nazisti. Era il 25 aprile 1945.

I quattro fratelli decisero allora di ritornare in Italia pochi mesi dopo, il 4 maggio 1945, assistendo dunque all'impiccagione del dittatore.

Bice, la madre dei fratelli, continuò disperatamente a cercare Bruno, finché un giorno si fermò.

Era il 25 marzo 1949 quando il corpo di Bruno fu ritrovato senza vita dalla Croce Rossa.

Fu Biolè, tuttavia, a non fermarsi con le sue ricerche: nel 2020 scoprì cosa gli era accaduto realmente, grazie al ritrovamento delle 142 lettere scritte da Bruno durante la permanenza a Dachau.

Ad oggi, grazie alle documentazioni che l’avvocato ha esposto, sappiamo che fu rinchiuso in uno dei campi di concentramento di Kaufering, a Sud della Germania, dopo essere stato tradito da un suo vecchio amico pediatra, il quale lo denunciò alle autorità naziste.

Bruno esercitò la sua professione di medico nei campi fino alla sua morte, avvenuta il 1 dicembre 1943, e fu sepolto successivamente nel campo di Dachau.

Fu immensa la commozione provata da Biolè nel dire che, finalmente, sapeva dove andare a pregare per il suo caro zio Bruno.

 Con un profondo rispetto per l'eroismo dei suoi cinque zii, l’avvocato ha concluso il suo discorso con una frase che sottolinea l'importanza della memoria e del rispetto dei Diritti che abbiamo: "Non ricordiamo solo i morti, ricordiamo anche i sopravvissuti, perché è solo grazie a loro se ad oggi abbiamo i diritti per cui viviamo”.


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